Le nature morte
La natura morta ha nella lingua tedesca e nell’inglese un altro nome, molto più bello e molto più giusto. Questo nome è: Still leben, e: Still life: “vita silenziosa”. È un quadro, infatti, che rappresenta la vita silenziosa degli oggetti e delle cose, una vita calma, senza rumori e senza movimenti, un’esistenza che si esprime per mezzo del volume, della forma, della plasticità.
In realtà gli oggetti, la frutta, le foglie sono immobili, ma potrebbero essere mossi dalla mano umana, o dal vento. Le nature morte rappresentano le cose che non sono vive nel senso del movimento e del rumore, ma che sono legate alla vita degli uomini, degli animali e delle piante; queste cose stanno sulla terra, su questa terra che respira intensamente la vita che è piena di rumori e di movimento.
Tutto sul nostro pianeta è circondato d’aria; senza l’aria tutto sarebbe morto. L’aria circonda la nostra terra e penetra negli oggetti morbidi, nei drappi di seta o di velluto, in un cuscino di piuma, o in un frutto molto maturo.
Sembrerebbe, quando si osservano questi oggetti che offrono all’aria così poca resistenza, questi corpi teneri, piacevoli a toccare, che l’aria li abbracci più strettamente che le altre cose e che si fonda con essi. Bisogna poter rendere visibile in un quadro questa penetrante stretta dell’aria che in realtà caratterizza i corpi morbidi. I corpi duri, che hanno una superficie forte e dei contorni marcati, danno l’impressione di respingere l’aria, che sembra ritirarsi ed allontanarsi da quei contorni e quelle superfici impenetrabili. Lo strato d’aria è come tagliato, come respinto dai contorni rigidi, e non offre più al nostro sguardo il carezzevole riposo che ci procura la sua addolcente presenza.
Bisogna poter dipingere questo giuoco d’aria, che definisce e precisa la sostanza degli oggetti e che ci fa vedere la loro durezza o la loro morbidezza. La sostanza delle cose conta più dei colori; è la sostanza che determina la forma, mentre la plasticità è intensificata dallo strato d’aria che avviluppa le cose. E l’aria che ci fa indovinare e vedere col nostro cervello il lato per noi invisibile degli oggetti. L’aria fa emergere le cose, addolcisce i loro contorni e, nel tempo stesso, intensifica le loro forme. L’aria è ovunque; deve essere anche “dipinta sulla tela”. Dipingere l’aria è molto difficile; dipingere l’aria vuol dire dare una tale plasticità, un tal volume, una tale forza della forma alle cose, che tra un oggetto e l’altro si senta circolare l’aria e che gli oggetti appaiano come sospesi, immobili, ma vivi nell’aria che si sposta, che si muove, mentre le cose sembrano fermate, immobilizzate, come per effetto di magia, con le loro frontiere, i loro promontori, le loro terrazze, le loro torri, i loro belvederi, i loro orizzonti. Una natura morta contiene tutta una geografia, tutto un mondo ridotto, come nei dizionari illustrati.
In un quadro, come ho già fatto notare nei miei altri scritti sull’arte, tutto dipende dalla materia con la quale esso quadro è dipinto. La plasticità delle forme è determinata tanto dalla materia fisica quanto dalla materia metafisica propria al quadro. La materia fisica è il corpo palpabile della pittura e la materia metafisica è il talento che ha saputo creare tale corpo. La bella materia usata con scienza, cioè due cose prodotte dal genio, ci permette di vedere o, piuttosto, di sentire in un quadro l’aria e gli effetti del suo giuoco.
Un pittore di talento, dipingendo una natura morta dipinge veramente la vita silenziosa delle cose create dalla natura o fatte dagli uomini.
La natura e la realtà non hanno problemi estetici, né preoccupazioni artistiche. È il dovere dell’artista di dare la bellezza alle cose che vede e che interpreta.
Una brocca può essere molto modesta ed insignificante, al punto di non essere vista quando sta sulla tavola di un contadino, e può diventare un oggetto pieno di nobiltà e di fascino in una bella pittura.
Che la bellezza e l’eccellenza della materia siano indispensabili nelle nature morte ci è provato dall’esempio caratteristico d’una natura morta di fiori bianchi dipinta da Manet, appartenente alla collezione Camondo del Louvre e molto nota attraverso le riproduzioni. In questo quadro, malgrado l’abilità dell’artista e la sua evidente intenzione di dipingere il soggetto nello stile della grande pittura, come risulta chiaramente dallo sforzo di dare alle pennellate quel giuoco speciale onde creare quel modellato particolare, mosso, fluido e sostenuto che caratterizza le migliori opere di Velázquez e di Franz Hals, malgrado, dico, l’abilità e la buona intenzione, lo scopo non è raggiunto. Le pennellate non rendono, mancano di mordente, a causa della cattiva qualità della materia. Insomma è come un abito che un sarto ben intenzionato avesse voluto tagliare secondo le regole della grande arte del taglio, ma che sarebbe lo stesso mancato per via della cattiva qualità della stoffa. L’abito così non veste il corpo al quale è destinato; non è piacevole a indossare, e neppure a guardare.
Anche nella natura morta di Manet tutte le buone intenzioni ed i lodevoli sforzi del pittore naufragano mise-ramente sugli scogli fatali della “cattiva materia”.
La parola natura morta ha cominciato ad essere usata nell’Ottocento. Questa parola è stata una profezia ed ha trovato nella pittura moderna la sua piena realizzazione. I quadri “moderni”, nei quali si vedono rappresentati infatti, dei quadri di nature morte, visto che queste cose che vi sono raffigurate, piatte, inesistenti e senza aria, sono “veramente morte”.
Le nature morte dipinte dai pittori moderni non potrebbero nemmeno servire come insegne di negozi di generi alimentari. Una salumeria, un fruttivendolo, una panetteria, una pasticceria che mettessero come insegna una natura morta dipinta da un pittore moderno, vedrebbero i loro clienti fuggire a gambe levate e presto i disgraziati commercianti che avrebbero avuto l’infelice idea di puntare sulla forza d’attrazione delle nature morte moderne, sarebbero costretti a chiudere bottega. Le nature morte moderne sono, infatti, inferiori anche a quell’arte popolare, semplice e banale, creata dai pittori d’insegne.
In quanto poi a quegli altri pittori che per far buona figura di fronte agli intellettuali si dedicano con fervore alla produzione a serie di nature morte fantomatiche, ultrastilizzate e spirituali, rifacendo la salsa a creazioni picassiane vecchie di dieci, venti ed anche trent’anni, essi s’illudono goffamente, se pensano che le loro tarde e piatte imitazioni possano approssimarsi anche un poco alle creazioni di Picasso, loro maestro ed ipnotizzatore. Se Picasso ha dipinto quelle cose è perché le aveva in sé e non faceva che sollevare il sipario sopra uno spettacolo di cui possedeva il segreto ed il monopolio.
Davanti ad una bella natura morta si sentono spesso delle persone semplici, degli uomini senza pretenzioni intellettuali, esclamare: “Oh, come sono vere quelle mele, e quelle arance, sembra di poterle toccare! Guarda quell’uva, vien voglia di prenderla e di mangiarla!”. Queste ingenue ed entusiastiche esclamazioni, queste parole piene di sincerità, sono un avvertimento per quegli intellettuali che la melma dello snobismo non ha ancora sommersi, per quegli intellettuali ai quali lo snobismo potrebbe non solo atrofizzare, ma anche addirittura sopprimere ogni sentimento umano di gioia e di piacere. E dirò ancora che non importa se gli stessi uomini semplici, sinceri ed entusiasti, possono dire le stesse parole davanti a quadri di dubbio valore artistico; non importa, poiché quello che conta è la gioia sincera che prova un uomo davanti ad una pittura. La gioia provocata da una vera opera d’arte nell’animo d’un uomo semplice è però più forte e più profonda che se è data soltanto da un’immagine ad esso piacevole. La gioia sentita davanti ad un quadro fa nascere la speranza che verrà il giorno in cui questa gioia sarà giustificata dalla bellezza della pittura che di nuovo avrà potuto rinascere sulla terra.
Cambiamo il nome di natura morta che è stato dato in un momento di ispirazione profetica ai quadri raffiguranti cose e oggetti. Chiamiamo queste pitture: “vite silenti”, come si chiamano in tedesco ed in inglese. Forse questo nuovo nome aiuterà ad abolire la sinistra profezia che oggi si è talmente avverata.
Articolo apparso in «L’Illustrazione Italiana» Milano, 24 maggio 1942, p. 500. Ripubblicato in G. de Chirico-I. Far, Commedia dell’arte moderna a firma di “Isabella Far”, Traguardi, Nuove edizioni italiane, Roma 1945. Ora in G. de Chirico, Scritti/1 (1911-1945). Romanzi e Scritti critici e teorici, a cura di A. Cortellessa, ed. diretta da A. Bonito Oliva, Bompiani, Milano 2008, pp. 476-480 e in La Natura secondo de Chirico, catalogo mostra a cura di A. Bonito Oliva, Palazzo delle Esposizioni, Roma (9 aprile – 11 luglio, 2010), 24 ORE Cultura, Milano 2010, pp. 279-280.