Brevis pro plastica oratio
Lo scultore è il creatore per eccellenza. Lo sculture ignora la linea.
Nella linea trovasi il principio dell’infinito; nell’infinito il principio del vuoto; la natura ha orrore del vuoto; l’arte e la natura hanno orrore del vuoto. La linea si può protrarre all’infinito; pertanto nel disegno e nella pittura essa è oltremodo nefasta e deleteria; per questo coloro che intuiscono i misteri dell’arte la fermano ai due capi; guai a non fermare una linea al suo principio ed alla sua fine; essa affonderà come un dardo mortifero nella tua opera; potrà il male negli organi più vitali del tuo disegno o della tua pittura.
In ogni disegno che si rispetti la linea è fermata da qualcosa; se tu osservi i migliori disegni degli antichi maestri capirai quanto è vero quello che ti dico; guarda però che spesso, specialmente se non hai la vista molto acuta, a occhio nudo non scorgerai subito il segno salvatore ed allora dovresti ricorrere all’ausilio della lente abbastanza forte per scoprire il bacillo buono, il bacillo amico, il bacillo fedele, quello che s’oppone, nuova guerra, combatte e vince il bacillo cattivo e deleterio della linea non formata. Questo qualcosa che ferma la linea può essere un dischetto, un quasi invisibile sobbaglio, un gancetto, una virgoletta, due virgolette, un accento circonflesso cascato a terra, un cubetto quasi invisibile, un triangolo, due triangoli incrociati, un minuscolo trapezio, un punto interrogativo o esclamativo, un ostacolo insomma che si pone di traverso e così ferma la linea nella sua corsa pazza verso l’infinito e formandola scongiura la catastrofe. Se si esaminassero col microscopio, quello reale creato dall’uomo e quello iperfisico che veglia nelle mante e nell’occhio degli eletti, le opere lineari e pittoriche dei migliori maestri antichi e, in un secondo tempo, quelle degli artisti d’oggi, si vedrebbe in quelle degli antichi segni, richiami, cifre, lettere, movimenti, infinitamente intelligenti che portano linea e pennellata sugli altipiani dorati della grande arte, nei pelaghi cerulei dell’infinita bellezza, che salvano l’opera dalla noia, dall’assopimento, dall’imbruttimento, dall’inciampo, dalla caduta. Poiché come nel disegno la linea dev’essere salvata dall’infinito, la stessa salvezza è dovuta in pittura alla pennellata, che anche la pennellata è una linea. La pennellata scema messa a rovescio, che protende verso la noia e l’immenso sbaglio del nulla le zampe rigide e secche del colore scanalato dai crini duri del pennello inadatto, è una tristissima specialità del pittore d’oggi; è la sua maledizione e la sua miseria, è il suo dolore e la sua condanna, insomma è il suo peccato mortale.
Lo scultore è libero dal difficile compito di neutralizzare il vuoto della linea. Egli scava per tirar fuori, nel blocco di creta o di marmo, con fiuto di rabdomante, comincia a frugare, e già quello che c’è dentro, la meraviglia, il divino giocattolo che procurerà gioia purissima e altro divertimento a lui ed agli altri uomini suoi fratelli, comincia a sobbollire alla superficie, comincia a muoversi, ad agitarsi come marmotta che si sveglia dopo un lungo sonno. E questo lo scultore buono lo farà tagliando, togliendo, scavando, scrostando, bucando, sbucciando, raschiando, graffiando.
In questo egli sarà sempre il fratello gemello del gran disegnatore e del gran pittore; poiché anche il disegnatore ed il pittore, davanti al foglio di carta ed alla tela si trovano come lo scultore davanti al blocco di creta o di marmo. Quello che verrà fuori dalla creta o dalla tela, è già dentro che dorme; come una marmotta nel suo buco, durante i mesi invernali; tutto sta a sapere da che parte bisogna cominciare che sonagliere bisogna squassare per svegliare l’anima che dorme…
Grande errore pertanto è di voler mettere sopra la carta o la tela ciò che si vuol fare. La superficialità, e quel senso piatto e noioso dei disegni e delle pitture d’oggi, dipendono dal fatto che essi non sono stati tiratifuori; non sono il risultato di uno scavo, non sono stati cercati nel blocco del foglio di carta o in quello del pezzo di tela ma messi sopra, appiccicati…; non per nulla la parola croûte (crosta) serve in francese a definire una cattiva pittura.
E’un luogo comune di dire di un pittore che sente e studia la forma che gli riuscirebbe bene facendo della scultura.
Quelli che parlano così non capiscono né la pittura né la scultura. Ingenui ed ignari credono che la vera pittura sia colore buttato a vanvera sulle tele, senza scheletro né fondamento e che la vera scultura sia forma dura e fredda. E’ lì che sta lo sbaglio. Se una scultura è dura non è scultura. La scultura dev’essere morbida e calda; e della pittura avrà non solo tutte le morbidezze, ma anche tutti i colori. Una bella scultura è sempre pittorica.
Articolo pubblicato su «Aria d’Italia» inverno 1940; ristampato in Giorgio de Chirico, Il meccanismo del pensiero, a cura di M. Fagiolo Dell’Arco, Einaudi, Torino 1985, pp. 381-382; ora in G. de Chirico, Scritti/1 (1911-1945). Romanzi e Scritti critici e teorici, a cura di A. Cortellessa, ed. diretta da A. Bonito Oliva, Bompiani, Milano 2008 pp. 890-892.