Sull’uso della lingua tedesca da parte di Giorgio de Chirico

di Simonetta Antellini

Premessa Brevi osservazioni sull’ortografia di Giorgio de Chirico[1]

La scrittura di Giorgio de Chirico subisce un’importante variazione tra il mese di aprile e il mese di dicembre 1910. Nelle Cartoline postali dei primi giorni di luglio 1909, nella lettera su carta intestata con stemma nobiliare del 27. 12. 1909, tutte da Milano e nella cartolina postale dell’11. 04. 1910 da Firenze si rileva una scrittura in corsivo latino con la presenza di alcuni errori dovuti ad una veloce trascrizione dei fonemi e ad una, altrettanto veloce, composizione dei periodi sintattici. Questi infatti non vengono sempre suddivisi da una corretta punteggiatura, rendendo lo stile del testo molto colloquiale, come si usa in italiano.

La lettera del 26. 12. 1910, già molto importante per il suo contenuto, risulta altrettanto importante nella scrittura, perché questa cambia completamente, mostrando grafemi del tutto diversi dal corsivo latino e assumendo tutte le caratteristiche della scrittura tedesca denominata “Kurrentschrift”, una sorta di scrittura manuale che serviva a semplificare il corsivo gotico. Giorgio de Chirico utilizza inoltre grafemi che diventeranno convenzionali dal 1911 con la risoluzione governativa della Sütterlinschrift, creata con lo scopo di semplificare ulteriormente il corsivo “kurrent”.

A partire dalla lettera di dicembre 1910, i grafemi mostrano un’ortografia sempre più fluida e sicura, anche se lo stile resta quello discorsivo italiano, la velocità di scrittura tralascia i segni di punteggiatura, importanti in tedesco per la suddivisione delle frasi che compongono il periodo e segnano una netta distinzione dell’appartenenza dei verbi alla frase principale o alle secondarie.

La sicurezza con cui appare la scrittura delle lettere in tedesco successive al 1910 suggeriscono che il Maestro abbia trovato la sua dimensione nell’esprimersi in tedesco e che ne sia anche compiaciuto. Probabilmente la frequentazione del professore tedesco conosciuto a Vallombrosa aveva risvegliato nel Maestro il desiderio di perfezionare anche ortograficamente la conoscenza di questa difficile lingua straniera.

Pertanto volendo riflettere sul significato di alcune frasi, fondamentali nel chiarimento del pensiero del Maestro, ci si deve forzatamente chiedere quanto il Maestro conoscesse questa difficile lingua straniera. La conoscenza comporta ovviamente l’esperienza maturata sia per formazione e studio, sia per pratica, come anche la partecipazione e la comprensione degli usi e costumi della civiltà tedesca.

Giorgio de Chirico studiò il tedesco già da adolescente, come lui stesso ricorda nei suoi scritti: “[..] Lasciato il Liceo Leonino mio padre assunse come maestro un signore siciliano di nome Vergara; a insegnarci il tedesco e la ginnastica prese un tedesco che andava in bicicletta e si chiamava Gheit. [..]”[2], perciò il Maestro e il fratello ricevevano lezioni private, come era uso nelle famiglie agiate della Grecia del tempo, inoltre lo studio del tedesco era fondamentale per i forti e stretti legami con la Germania[3].

Non è quindi proprio casuale la scelta di studiare a Monaco di Baviera anche se lo stesso Maestro scrive: “ [..] Tutti ci consigliavano di recarci in Germania, a Monaco, perché io continuassi a studiare la pittura e mio fratello la musica. Monaco era allora un po’ quello che ora è Parigi [..]”[4]. Nel primo decennio del Novecento infatti era Monaco e non Parigi il luogo deputato allo sviluppo dell’arte moderna: qui giovani artisti provenienti da tutti i paesi del continente, (esemplificativa è la presenza di Vasilij Kandinsky dalla Russia e di Paul Klee dalla Svizzera), vivevano un momento di particolare eccitazione per la possibilità di confrontarsi tra pittori. I “nuovi” artisti ritenevano infatti di non doversi limitare a mostrare la forma degli oggetti per come è percepibile dai sensi, ma di dover sollecitare una reazione nell’animo del soggetto che la osserva. Naturalmente la nuova onda artistica e i giovani che intendevano praticarla era sostenuta da un’efficiente organizzazione costituita da tanti intraprendenti e lungimiranti investitori che finanziavano i loro lavori.

A Monaco Giorgio de Chirico frequentò l’Accademia di Belle Arti, approfondì lo studio sulle opere di Arnold Böcklin, di cui apprezzò soprattutto il classicismo, di Max Klinger che ammirò particolarmente per saper trovare una chiara corrispondenza tra il sogno e la realtà e, soprattutto, incontrò la poesia e la filosofia di Friedrich Nietzsche: “[..] durante i due anni in cui rimasi a Monaco gli unici tedeschi dei quali fui amico e nei quali trovai un po’ di cordialità e di comprensione, qualche qualità di cuore e di spirito, furono appunto due prussiani: Fritz Gartz e il di lui fratello che aveva nome Kurt ed era studente di medicina. Kurt era ossessionato dalle idee filosofiche di Nietzsche e io osservai in lui delle anomalie mentali; nel tempo stesso osservai che lui, come del resto tutti quelli che hanno letto Nietzsche, non aveva affatto capito in che cosa consiste la vera novità scoperta da quel filosofo. Tale novità è una strana e profonda poesia, infinitamente misteriosa e solitaria, che si basa sulla Stimmung (uso questa parola tedesca molto efficace che si potrebbe in italiano tradurre con la parola: atmosfera nel senso morale) si basa, dico, sulla Stimmung del pomeriggio d’autunno, quando il cielo è chiaro e le ombre sono più lunghe che d’estate, quando il sole comincia a essere più basso. [..]”[5].

Durante il soggiorno in Germania Giorgio de Chirico si dovette confrontare quotidianamente con questa lingua straniera, in una condizione che oggi si definirebbe di “full-immersion”, ascoltando, cercando di comprendere e, infine, di riprodurre. La “riproduzione”, infatti, è la fase di apprendimento, che si raggiunge solo al termine di una lunga e puntuale preparazione e che, per uno straniero, non giunge mai a compimento. Considerato il lungo percorso di studio e la didattica in uso in Italia fino agli anni ’70 del XX secolo, che si basava più sulla traduzione dalla lingua madre, piuttosto che sull’espressione spontanea in lingua straniera, è nello stadio di “intermedio” che si può valutare la conoscenza del tedesco di de Chirico.

Analisi delle lettere dal 1909 al 1911

I – Ortografia, grammatica e sintassi

Durante il XIX secolo e sicuramente fino all’adozione della “Sütterlinschrift” (1915) in Germania tutti coloro che sapevano scrivere conoscevano ed utilizzavano la scrittura “kurrent”, come si evince anche dalle correzioni degli indirizzi apportate a mano sulle cartoline postali del 1909, che si ritiene siano state operate dal postino. La scrittura “kurrent” si differenzia dal corsivo latino per i suoi caratteri appuntiti e obliqui a destra: nel corsivo minuscolo mantiene alcune caratteristiche del gotico come i riccioli e i ghirigori della lettera “d” o della “r” in chiusura di parola, mentre prende a prestito dal latino gli anelli sui bloccanti delle lettere come nella “z” e nella “h” sulle sotto-capesante.

La “s” è totalmente diversa perché formata da un’unica asta estesa verso il basso, come la parte inferiore della “f”, mentre la “e”, la “n” e la “u” sono praticamente uguali per cui, spesso, si trova sulla “u” un segno analogo all’accento manuale latino (semicirconferenza) sia per distinguere questa vocale dalla “n” e dalla “e”, sia per indicare l’assenza del raddolcimento dovuto all’eventuale Umlaut (i due puntini sulle vocali, corrispondenti graficamente, ma non foneticamente, alla dieresi latina).

Giorgio de Chirico deve aver ammirato questa scrittura e si deve essere anche molto esercitato nel riprodurla graficamente, si rileva infatti che dalla lettera di dicembre 1910 la scrittura appare molto più sicura e veloce, il Maestro ha abbandonato l’incertezza e l’elementarità delle lettere e delle cartoline postali dove, tra l’altro, comunicava di trovarsi a disagio nello scrivere e per questo motivo lo faceva raramente. Si notano diversi cambiamenti: nel corsivo latino la lettera “k” è scritta in stampatello minuscolo, nella scrittura kurrent viene ricamata con il suo fiocco dalle due anse in alto a sinistra e a metà altezza a destra; le lettere “d” ed “r” (questa in chiusura di parola) sono scritte senza legamento e acquistano il loro ricciolo-ghirigoro verso l’alto, le lettere “h” e “z” hanno il loro prolungamento verso il basso con l’anello sulle sotto-capesante, la “s” diventa una semplice lunga asta, qualche “u” viene accompagnata dall’accento semicircolare e qualche altra “u” è raddolcita (anche erroneamente) dall’Umlaut. Il risultato complessivo è che al primo sguardo le lettere in Kurrentschrift sembrano scritte da un madrelingua.

Quando si procede però nella lettura si capisce che la situazione è diversa, che si tratta di uno straniero che ha studiato il tedesco.

L’ortografia non è sempre corretta e potrebbe indurre in errore, ad esempio: la corretta scrittura del vocabolo “ausstellen” (esporre), verbo separabile, cioè composto da una preposizione “aus” e un verbo debole “stellen[6], è scritto spesso con una sola “s” che si potrebbe leggere “anstellen” (collocare, impiegare) sempre separabile “an e stellen”, ma di diverso significato. Anche la scrittura della congiunzione “daß” (che), quella che introduce una frase oggettiva, talvolta con la corretta “ß” (eszet), talvolta con una doppia “s”, in corsivo latino può confondersi con “dann”, un avverbio che significa “poi, dopo, quindi”.

A riguardo della grammatica e della sintassi si rilevano diversi errori, che sono probabilmente prodotti dall’urgenza di comunicare, di far partecipe il destinatario delle idee e delle riflessioni che coinvolgono lo scrivente.

Dall’analisi grammaticale si evince che le declinazioni dei nomi e degli aggettivi non vengono sempre osservate con attenzione: “Es ist für mich sehr unangenehm ein Brief zu schreiben”; “Heute habe ich Ihr Brief erhalten”, Brief è di genere maschile, complemento oggetto, la declinazione corretta è “einen, Ihren Brief”; “Vor ein paar Tage”, frase idiomatica, “vor” introduce in questo caso il complemento di tempo, espresso nel caso dativo al plurale, l’espressione corretta è “Vor ein paar Tagen”; “ein Programm des hier in Florenz projektiertes Konzertes”, la desinenza corretta dell’aggettivo che accompagna un termine di genere neutro al genitivo singolare è “projektierten”.

Dall’analisi della sintassi si deducono le informazioni più significative perché si capisce che  Giorgio de Chirico conosceva bene il tedesco: riusciva in costruzioni verbali molto complicate, utilizzava correttamente la forma di cortesia, conosceva diverse frasi idiomatiche, però non padroneggiava la lingua: l’ordinamento delle parti della frase, l’uso talvolta improprio dei verbi, la ripetizione ricorrente del passato prossimo, la difficoltà di riconoscimento del genere e gli errori di declinazione di articoli, determinanti e aggettivi tradiscono la sua provenienza dalla lingua italiana e lasciano intendere che anche il Maestro “traduceva”.

Esempio ne sia una frase molto importante dove si nota chiaramente che la sequenza rispetta la costruzione della frase in italiano: “[..]weil sicher seitdem Sie leben hat Ihnen jemand nie so etwas gesagt.” – perché sicuramente da quando Lei vive qualcuno le ha mai detto qualcosa del genere. In tedesco la costruzione corretta colloca il soggetto immediatamente dopo la congiunzione, sposta il verbo in fondo alla frase secondaria, inverte la posizione del verbo e dell’ausiliare, inserisce la virgola e aggiunge la seconda frase secondaria: “weil jemand Ihnen sicher nie so etwas gesagt hat, seitdem Sie leben.” Oppure volendo anticipare l’apposizione: “weil jemand Ihnen, seitdem Sie leben, sicher nie so etwas gesagt hat”.

Ugualmente interessante è la costruzione di alcuni verbi che in tedesco reggono l’uno o l’altro caso, ma che in italiano vengono supportati da preposizioni, come: “Porga i miei omaggi alla Sua signora”. In tedesco ci si esprime con un preciso verbo seguito dall’accusativo della persona che chiede e dal dativo della persona che riceve – “Empfehlen Sie mich bitte Ihrer Frau!” – Porga i miei ossequi a Sua moglie! -, qui, come tutti gli stranieri inesperti che traducono, de Chirico inserisce la traduzione della preposizione “a”, con il corrispettivo tedesco “neben”,” presso”: “Empfehlen Sie mich bitte neben Ihrer Frau”. Tutto ciò però si compone con la fraseologia corretta delle locuzioni più semplici per uno straniero, come, per esempio, “venire a” o “qualche giorno fa”, con uso di vocaboli dal significato opposto o analogo: infatti in tedesco si dice “andare a” (spostamento abituale) e “un paio di giorni fa”[7].

Si vuole con ciò significare che nello studio di una lingua straniera esistono alcune parole e alcune locuzioni che entrano nel vocabolario personale e che si ripetono costantemente anche con significati diversi, per i quali però esistono termini specifici, che lo straniero omette o non conosce. Tutto ciò è confermato dal fatto che Giorgio de Chirico nelle sue Memorie racconti che durante il suo soggiorno in Germania per essere sicuro di spiegarsi bene e che le sue richieste venissero soddisfatte si rivolga all’aiuto dell’amico Fritz Gartz, o che per la traduzione della conferenza che il fratello doveva presentare alla Tonhalle nel gennaio 1911 si rivolga all’aiuto del professore tedesco conosciuto a Vallombrosa.

La traduzione delle lettere diventa perciò un’interpretazione, proprio perché non risulta sufficiente l’estrapolazione di frasi idiomatiche o, men che meno, la traduzione letterale; la traduzione diventa la ricostruzione di un puzzle dove lo schema è formato dalla lingua italiana e le tessere sono inserite a seconda dell’avanzamento dello studio o della comprensione della lingua tedesca da parte del Maestro.

II – Aggettivazione

Per una corretta comprensione del “tedesco” di de Chirico si dovrà quindi entrare nella mentalità di uno straniero che studia questa lingua e da cui, per sottrazione, lo stesso straniero trarrà le parole per lui più confacenti e significative. Per lo straniero, infatti, che ha a disposizione solo un vocabolario ridotto e si sente sicuro soltanto di quelle frasi che si usano nel quotidiano, con qualche eccezione sul frasario delle buone maniere, è la lingua parlata che aiuta alla comprensione, in particolare per gli italiani, che solitamente caratterizzano i loro toni enfatici con gesti e mimica facciale.

Nel carteggio con Fritz Gartz il Maestro cerca di utilizzare frasi gentili e ricercate, ma spesso la ridotta pratica linguistica e il mancato utilizzo del vocabolario impediscono di trovare la giusta e più corretta soluzione per le sue espressioni. Ciononostante egli è sicuro di essere compreso anche se alcuni passaggi molto importanti delle sue lettere appaiono di significato incerto per l’uso di vocaboli e locuzioni non facilmente assimilabili, e, soprattutto, perché formulate sempre con gli stessi aggettivi.

Interessante, ad esempio, è il fatto che il Maestro nelle sue lettere non citi mai il vocabolo “nett”, (gentile, cortese) molto usato da tutti gli stranieri, ma poco adatto all’enfasi con cui vuole sottolineare la disponibilità e la gentilezza della signora Gartz, la moglie del suo amico, che diventa e rimane sempre “liebenswürdig”, per gli italiani “amabile”, letteralmente “degna di amore”.

Ancora più interessante è come intendere il significato di alcuni aggettivi: il termine “dumm”, in italiano “stupido”, viene utilizzato con significati sempre diversi dal primo di traduzione; “furchtbar”, “terribile, spaventoso”, nelle espressioni del Maestro diventa semplicemente un accrescitivo o un rafforzativo; “tief”, “profondo”, viene usato ripetutamente, in tutte le sue declinazioni e una volta il Maestro specifica “nel senso antico del termine”, in breve con il significato esattamente opposto.

III – Sulla ricerca del significato o dell’interpretazione

Particolarmente interessante risulta verificare la sicurezza con cui il Maestro si esprime e come nell’avanzamento della sua pratica riesca a comporre periodi sempre più complicati, mantenendo inoltre quello stile colloquiale ricco di termini che esprime rapidamente. Per chi capisce il tedesco, se si leggono le sue lettere a voce alta, è più facile e più comprensibile il suo pensiero: si può percepire la voglia di comunicazione, o di partecipazione ai suoi sentimenti e alla sorpresa che lo ha colto!

Nel carteggio si nota infatti, come già detto, che i passi più rilevanti rimangono come sospesi se non letti con la giusta intonazione. Quando nella lettera del 26 dicembre 1910 scrive: “Ciò che ho creato qui in Italia non è grande o profondo (nel senso antico del termine), ma è terribile.” si deve comprendere l’enfasi che egli intende donare alle sue parole per cercarne il significato nascosto. In primo luogo si deve comprendere, così come Fritz Gartz poteva comprendere, quanto e come Giorgio de Chirico critichi i modernisti che apprezzano soltanto la “grandezza” delle dimensioni e la “vuotezza” delle forme, per cui il “senso antico”, di cui scrive tra parentesi, è da ricercare nel significato di quel “tief”, profondo, come nell’uso del termine nel periodo dell’Alt- o del Mittelhochdeutsch[8], cioè “hohl”, cavo, vuoto. In secondo luogo si deve comprendere che l’aggettivo “furchtbar”, terribile, viene utilizzato con un significato figurato e potrebbe sostituirsi con “gewältig”, potente, impressionante. Sarebbe infatti sufficiente riflettere sulle espressioni elementari della lingua italiana parlata quando si utilizza “terribile” come rafforzativo, ad esempio: “ho un terribile mal di testa” o “sono stanco: è stata una giornata terribile”.

Giorgio de Chirico era un entusiasta ed è perciò con questa chiave che si devono ricercare i significati nascosti dell’aggettivazione elementare della sua terza lingua, la lingua parlata da uno straniero.

Egli utilizza l’aggettivo “tief”, profondo, per descrivere uno stato d’animo, ma anche la sua pittura e i dipinti di Böcklin, il senso poetico e lirico di Dante, di Goethe e di Nietzsche.

Ma che cosa significa per de Chirico “profondo”? Probabilmente per l’ideatore dell’arte metafisica la profondità si trova in ciò che risulta difficile da afferrare con la mente, in quanto nascosto e poco evidente, ma proprio per questo più vero e importante. La Tiefenpsychologie comprende gli indirizzi della psicologia che analizzano l’inconscio e indaga gli strati della coscienza più lontani dalla consapevolezza. Dunque per intendere la “profondità” che esprime de Chirico ci si può aiutare con quanto egli stesso dichiara successivamente a proposito di Böcklin: “[..] in Böcklin la potenza metafisica scaturisce sempre dall’esattezza e la chiarezza di una determinata apparizione. [..] Arnoldo Böcklin è stato classico nel senso più puro della parola. In ogni sua opera si sente il principio della visione che repentinamente si presenta allo spirito, che viene su zampe di colomba, come diceva Nietzsche. Rivelazione d’un che d’inspiegabile che dà all’artista creatore quella gioia divina, forse la gioia più profonda e più pura che sia concessa a noi mortali.”[9]. E ancora: “[Böcklin] il pittore più poeticamente profondo che sia mai stato, è stato pure un enorme realista. [..] al vero artista il realismo è un mezzo per esprimere efficacemente ciò che prova e ciò che immagina[..]”[10].

La chiave di lettura è pertanto la rivelazione, la profondità si trova nell’aspetto e nel significato delle cose che si percepiscono al di fuori della realtà convenzionale come accade quando si guarda un attore nel suo camerino, cioè fuori dal palcoscenico, dove trucco e costume non alterano più l’essenza della persona, che non è più il personaggio, ma l’uomo[11]. Nel caso contrario la rivelazione si manifesta quando si trova realistica, ad esempio, l’immagine di un centauro dal maniscalco tra la gente comune: “[..] La genialità di questa composizione è chiaramente dimostrata dal fatto che nel riguardante fa l’impressione di una scena realmente accaduta.”[12].

Considerando pertanto che la lettera è stata scritta a dicembre del 1910 ben si comprende l’entusiasmo del Maestro che finalmente a Firenze ha avuto egli stesso per primo la rivelazione, ha finalmente compreso il motivo per cui subiva così “profondamente”, inconsciamente il fascino della pittura di Blöcklin. Dopo tanto tempo trascorso a studiare e a provare dipinti di cui non era soddisfatto, tanto da distruggere tutti quelli böckliniani del periodo milanese, arrivato a Firenze inizia a realizzare qualcosa che lo soddisfa, che gli piace e gli dona gioia interiore, fin quando tutto gli appare chiaro, in quel pomeriggio d’autunno sulla Piazza di Santa Croce, una visione da cui svilupperà il “mistero italiano”. Ed è lo stesso Giorgio de Chirico che ne descrive il percorso nella sua autobiografia del 1929, pubblicata sotto lo pseudonimo di Angelo Bardi[13]: “[Giorgio de Chirico] Avendo dunque portato a termine i suoi studi lasciò la Germania e raggiunse l’Italia. [..] Passò il primo anno a Milano. Durante questo periodo dipinse delle opere in cui l’influenza böckliniana era ancora piuttosto evidente. Del resto, distrusse lui stesso queste tele. Essendosi trasferito a Firenze, [..] Giorgio de Chirico cominciò a scoprire la propria strada. A questo periodo fiorentino appartengono delle tele come L’enigma dell’oracolo o L’enigma di un pomeriggio d’autunno: due opere datate 1910, ma che per potenza poetica e innovazione sono degne di essere considerate allo stesso livello delle tele successive.

Come, in precedenza, aveva scoperto una Grecia enigmatica e assai differente dalla Grecia illustrata nei manuali scolastici, allo stesso modo, dopo la lettura dell’Ecce Homo di Nietzsche, Giorgio de Chirico si adoperò per scoprire il ‘mistero italiano’. Collocò questo ‘mistero’ nell’Italia settentrionale,

e in particolare nella città di Torino. È alla scoperta di questo ‘mistero’, di questo enigma sabaudiano o cavouriano, che dobbiamo tutta la serie dei quadri in cui le statue solitarie erette su piedistalli molto bassi allungano la loro ombra post-meridiana su vaste piazze deserte e circondate da portici.

Ma questi quadri, malgrado tutta la loro potenza poetica, questi ‘documenti’ di una nuova pittura, rimanevano nascosti nella camera di una casa a Firenze.”.

Anche nella poesia la chiave di lettura della “profondità” è la rivelazione, per Giorgio de Chirico non sono state sufficienti le immagini e le storie descritte nella complessa architettura delle cantiche di Dante, o nelle peregrinazioni di Wilhelm Meister o nell’ambiguità del Faust di Johann Wolfgang von Goethe, è nella poetica di Friedrich Nietzsche che si trova l’Oltremondo, quello che rende sensibili le “cose inutili”.

Da questo punto di vista nemmeno l’immaginazione, la creatività e le capacità di Michelangelo possono essere sufficienti a raggiungere quella “profondità”, Michelangelo è perciò definito “il più stupido” degli artisti. Uno dei significati di “dumm” è però “ingenuo” e si ritiene che il Maestro così abbia voluto definire l’artista titano. De Chirico non apprezzava Michelangelo per le dimensioni delle sue figure o dei suoi dipinti, ma per la grandezza del suo spirito. Apprezzava ed ammirava Michelangelo anche per le sue capacità di pittore, tanto che nel 1928 scrisse: “[..] feci circa otto anni fa alla Galleria degli Uffizi una riuscitissima copia della Sacra Famiglia di Michelangelo; tale copia orna ancora le pareti della mia camera da letto e ne sono talmente innamorato che più volte rifiutai delle somme importanti offertemi da persone che la volevano acquistare. Ricordo come nessuno dei copisti che in quel tempo vidi eseguire la stessa copia, riuscì a rendere la profonda luminosità delle carni e dei panneggiamenti dell’opera michelangiolesca [..]”[14]. Tale ammirazione non può presupporre la “stupidità”, quanto invece una sensazione di rammarico perché il grande artista non era stato colto dalla rivelazione.

In merito alle opere di questo periodo e al momento della “rivelazione” si riporta la stessa dichiarazione del Maestro nel saggio introduttivo della mostra a Milano nel 1921: “ Et quid amabo nisi quod ænigma est?… – I quadri e i disegni che oggi espongo a Milano sono il frutto di circa un anno di lavoro. [..] però mostro una copia della Santa Famiglia di Michelangiolo che, secondo me, è, di tutta la Galleria degli Uffizi, il quadro più difficile a interpretarsi e a copiarsi. In tale copia, cui ho lavorato sei mesi, ho procurato, per quanto m’è stato possibile, di rendere l’aspetto dell’opera michelangiolesca nel suo colore, nel suo impasto chiaro e asciutto, nello spirito complicato delle sue linee e delle sue forme. [..] Il lato metafisico della pittura mi ha sempre preoccupato. Ciò si può vedere anche in quelle poche opere giovanili che espongo. Dipinte tra il 1908 e il 1910 esse appartengono a un periodo della mia vita in cui vivevo e lavoravo da solitario a Firenze dopo aver vissuto alcuni anni di faticosa vita accademica in Germania. Disegnavo molto, dipingevo e scolpivo qualche volta e nelle ore notturne studiavo la storia dell’arte, la filosofia, il greco e il latino. Vi sono tre quadri di quel periodo giovanile: L’enigma dell’oracolo, La meditazione del mattino e le due Meditazioni del pomeriggio, ai quali io attribuisco un alto valore spirituale, valore cui credo pochi pittori siano giunti finora.”[15].

A riguardo dell’aggettivo “dumm”, si nota che il Maestro lo usi anche per definire la personalità del professore tedesco conosciuto a Vallombrosa “ein sehr dummer Kerl”, – letteralmente: un tipo molto stupido -, una persona che, come si è detto, ha probabilmente seguito il Maestro nell’apprendimento della Kurrentschrift ed a cui il Maestro ha affidato la correzione della conferenza che il fratello avrebbe tenuto a Monaco prima dell’esecuzione della sua opera Il Primo Caso Musicale – La musica più profonda sinora scritta. Appare pertanto improbabile che una persona così affidabile sia ritenuta “stupida”, cioè che mostri scarsa intelligenza o ottusità di mente, sembra invece una locuzione che nasconde un modo di dire (uno strano tipo), o anche la distorsione di una frase d’intesa tra due amici, o ancora e più semplicemente un erroneo uso di un’espressione che intendesse bonariamente la semplicità della persona a cui si riferisce.

La “stupidità”, die Dummheit, si ripresenta invece ancora e molto tristemente nella lettera del 5 gennaio 1911, quando de Chirico comunica di aver riflettuto tutta la notte sulla fragilità del fratello di Fritz Gartz, Kurt, che si è suicidato. Questa “stupidità” è l’inconsapevolezza di chi non riesce a vedere oltre i segni convenzionali e non si accorge che esistono altre possibilità.

È infatti in questa visione che de Chirico ritorna a spiegare che cosa voleva dire scrivendo che Michelangelo era “il più stupido degli artisti”, intendendo che le sue opere rappresentavano una forza e una potenza spirituale male interpretata da chi lo definiva un titano: “[..] L’ultimo grande pittore italiano nel quale visse il classicismo con tutti i suoi segni e i suoi misteriosi simboli è stato Michelangelo. [..] Aggiungiamo che Michelangelo lo si è sempre chiamato un titano o un gigante, e questo certamente perché le sue sculture e pitture ci mostrano dei corpi carichi di muscoli che esprimono la forza fisica. Lo si chiama titano per una ragione esteriore e senza pensare affatto alla forza del suo talento ed alla grandezza della sua personalità artistica.”[16].

Nella rappresentazione fisica del David si idealizzava il complesso insieme di valori estetici e filosofici dell’eroe attraverso l’armonia della figura dalle perfette proporzioni anatomiche, dalle forme virili e possenti. Questo “eroe” non era però il “Superuomo”, l’interprete del canto dell’eternità, della filosofia dell’eterno ritorno, quello che vive nell’Oltremondo. Michelangelo nel suo tempo non avrebbe mai potuto realizzare questa figura, perché non avrebbe potuto ricevere il dono della rivelazione, la sua ingenuità l’aveva semplicemente limitato.

Conclusioni

Il tedesco per gli stranieri è una lingua difficilissima da studiare per la complessità della sua grammatica e della sua sintassi. Già dall’inizio, per esempio, si studiano i sostantivi suddivisi in tre generi, ogni genere possiede una sua declinazione suddivisa in classi, sottoclassi ed eccezioni; la declinazione del sostantivo coordina altrettante declinazioni di articoli, determinanti e aggettivi e ne rende impegnativa la corretta riproduzione[17].

Giorgio de Chirico studiò il tedesco fin da adolescente secondo il metodo di apprendimento che facilitava lo studio delle lingue straniere riguardo la correttezza d’espressione, ma che non ne consentiva la riproduzione rapida e spontanea. La permanenza in Germania lo aiutò molto nel capire gli usi e costumi di quel popolo, l’esercizio linguistico fu però sempre molto limitato, tanto che ancora nel 1909 scriveva “Es ist für mich sehr unangenehm ein Brief zu schreiben, deswegen schreibe ich so selten.” – È increscioso, [cioè mi sento a disagio a], scrivere una lettera, per questo scrivo così di rado. – Anche negli scritti successivi si trovano frasi semplici, periodi brevi, soltanto nella lettera del 27 dicembre 1909 si trovano periodi con più frasi secondarie. La scrittura e il fraseggio cambiano completamente dalla lettera del 26 dicembre 1910, quando de Chirico ha già trascorso un periodo di cure a Vallombrosa. È pertanto lecito pensare che la frequentazione del professore tedesco si sia risolta in vere e proprie lezioni di lingua perché le lettere si riempiono di idee, ragionamenti e sensazioni, il vocabolario si arricchisce e la scrittura non solo sostituisce i grafemi con l’alfabeto kurrent, ma diventa più fluida e sicura.

Si è già detto di come, in ogni caso, si evidenzino errori sintattici e grammaticali, ma probabilmente non si è chiarito abbastanza come in una persona che studia una lingua straniera rimangano nella memoria parole e frasi usate fin dall’inizio della pratica. Questo atteggiamento mentale spesso provoca dei vizi linguistici difficili da correggere, ma non è questa la problematica da affrontare in questa sede, qui è sufficiente prenderne atto.

Giorgio de Chirico utilizza ripetutamente alcuni vocaboli e alcune frasi, si è già indagato sul significato di “liebenswürdig”, di “tief”, di “dumm” e di “furchtbar”, a proposito di “ein paar”, che de Chirico usa sia nel complemento di tempo sia nel complemento oggetto (“vor ein paar Tagen” e “ein paar Gemälde”) corre l’obbligo di precisare che “paar” usato in forma aggettivale è indeclinabile e rispetta il significato di “qualche”, “alcuni”, anche “pochi”, mentre la forma nominale “das Paar” è utilizzata per indicare “un paio”, “una coppia” come “un paio di guanti” (ein Paar Handschuhe) o “formare una coppia” (ein Paar bilden). Del resto per chi ha studiato questa lingua straniera secondo una metodologia ormai obsoleta risulta veramente difficile stabilire il corretto genere delle parole, perciò si incontrano spesso vocaboli utilizzati in forma errata, oppure scritti in modo incompleto. Ciò che si evince però dalle lettere di Giorgio de Chirico è il desiderio di comunicazione e di partecipazione, si percepisce che per il Maestro non è importante rispettare la sequenza delle parti del discorso, egli inserisce avverbi, congiunzioni, apposizioni ed espressioni della lingua parlata, così come se si trovasse davanti al suo amico. Le sue espressioni sono colloquiali e rispettano più la sequenza italiana che quella tedesca, inizia spesso la frase con “aber”, – ma -, utilizza una costruzione diretta o inversa anche in frasi secondarie, in particolare nelle interrogative indirette introdotte da “weil” dove la regola vorrebbe la trasposizione; le frasi sono consequenziali, si succedono rapidamente, si intersecano come nel dialogo della lingua italiana.

In conclusione la comprensione del “tedesco” di de Chirico necessita di una valutazione sulla personalità di questo artista così creativo e poliedrico, basandosi sempre sul dato di fatto che, comunque, la sua riproduzione in lingua straniera veniva arginata dall’assenza di un costante esercizio e dall’italianità del suo temperamento.[18]


[1] Si ripete qui il testo Brevi osservazioni sull’ortografia di Giorgio de Chirico, già edito nella rivista dello scorso anno (nn. 20-21 del 2021), come Premessa all’articolo attuale [n.d.a.];

[2] G. DE CHIRICO, Memorie della mia vita, pag.83, Milano 2019;

[3] L’indipendenza del popolo greco dall’Impero Ottomano fu determinata dalla partecipazione delle grandi potenze a sostegno dei separatisti. Da Inghilterra, Francia e Russia dipese infatti la creazione di uno Stato indipendente, che fosse però amministrato da un sovrano straniero e, in base alla convenzione di Londra del 1830, il primo re fu tedesco, Ottone di Wittelsbach, che fu nominato Ottone I di Grecia;

[4] G. DE CHIRICO, Memorie della mia vita, p.97, Milano 2019;

[5] Idem, p.106;

[6] Nella grammatica tedesca i verbi regolari sono denominati “deboli” e i verbi irregolari sono denominati “forti” [n.d.a.];

[7] Esempio classico nello studio attuale della lingua tedesca è la frase: “vengo a scuola qui” che, tradotto letteralmente, diventa “vado a scuola qui”, cioè “ich gehe hier in die Schule”, [n.d.a.];

[8] Althochdeutsch – comprende i dialetti della Germania centrale e meridionale dall’inizio delle prime trascrizioni scritte, circa 810 fino a circa il 1100; Mittelhochdeutsch, il livello di sviluppo della lingua tedesca tra l’Alt- e la Neuhochdeutsche Sprache, circa dal XII al XV secolo; Neuhochdeutsch – il livello di sviluppo della lingua tedesca, anche scritta, dalla traduzione della Bibbia di Martin Lutero ai nostri giorni;

[9] G. DE CHIRICO, Scritti (1911-1945), Arnoldo Böcklin, a cura di Andrea Cortellessa, Milano 2008, pp.706-707;

[10] Idem, – Max Klinger, p.324;

[11] “[..] Essi rivelano così il lato enigmatico della apparizione, il lato spettacolo occulto, qualcosa come un attore che si è già visto sulla scena illuminato dai lumi della ribalta, nell’ambiente che lo “normalizza”, lo “umanizza”, teatralmente parlando, e che, poscia, a sipario calato, tu sorprendi nel suo camerino con gli stessi abiti e la stessa truccatura ma con un aspetto infinitamente più solitario e metafisico, sicché ti vien fatto di pensare: ecco il vero aspetto di costui, l’aspetto al quale nessuno finora ha pensato!”, idem, – Vincenzo Gemito, p.405;

[12] “[..] Forse è stata l’influenza di Böcklin [il riferimento è al dipinto Il centauro dal maniscalco] che ha spinto Klinger a sviluppare in numerose acqueforti questa curiosa emozione dell’essere mitologico; centauro, fauno, tritone, rappresentato non solo in mezzo la deserta natura o in compagnia di dèi e semidei, come usarono sempre gli artisti, ma in compagnia degli uomini, in una “realtà” sorprendente, “naturale”, che, vista la prima volta, fa l’impressione, come già dissi, che quelli esseri siano realmente esistiti.”, idem, Commedia dell’arte moderna – Max Klinger, p.324;

[13] G. DE CHIRICO, Scritti (1911-1945) – La vie de Giorgio de Chirico, p.830 (in francese), p.1036 (in italiano). Milano 2008, Il curatore della pubblicazione, Andrea Cortellessa, nelle Note ai testi, p.1033 informa che questa monografia dedicata a Giorgio de Chirico (VIII della serie) da “Sélection Chronique de la vie artistique” pubblicata ad Anversa nel 1929 e firmata Angelo Bardi è stata attribuita al Maestro da Gerd Roos in “Otto/Novecento”, 1997, 1, p.32 e che si tratta dello scritto autobiografico più esteso e impegnativo di de Chirico prima delle Memorie della mia vita (1945). Inoltre Katherine Robinson, che ne ha curato la pubblicazione in Metafisica, 5-6, 2006, pp. 485-9, sulla base di ricerche condotte da Maurizio Calvesi, nota che l’architettura realizzata dal Maestro in Enigma di un pomeriggio d’autunno riproduce un particolare dell’affresco di Giotto Le stimmate di San Francesco, visto da de Chirico a Firenze nella Cappella Bardi di Santa Croce, dove è presente anche l’apparizione di un angelo, da cui il Maestro avrebbe tratto lo pseudonimo;

[14] Idem, Piccolo trattato di tecnica pittorica, p.33;

[15] Idem, Prefazione – p.774-5;

[16] Idem, Il Signor Dudron, p.224-5 e Commedia dell’arte moderna – Classicismo pittorico – p.312;

[17] La lingua tedesca moderna è nata dalla riforma linguistica operata da Martin Lutero con la traduzione della Bibbia (1522 – 1534). Riorganizzando grammatica e sintassi sull’esempio del latino e servendosi dell’innovazione della stampa per la divulgazione, Lutero uniformò le varie lingue dei territori tedeschi dando la possibilità a tutte le classi sociali, in particolare alla nascente borghesia, di poter accedere alla lingua scritta, fino ad allora riservata al clero, ai cavalieri, ai nobili e ai governanti. La regola di scrivere i sostantivi con la maiuscola, che aiuta moltissimo gli stranieri, deriva dall’intento dell’agostiniano di dover ringraziare il Signore per ogni cosa che ha creato.

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